Le partite in città di mare

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Le partite in città marinare hanno sempre un sapore speciale, e sono a lungo attese dai tifosi britannici: una trasferta a Blackpool equivale ad un weekend passato a bere lungo il molo ammirando acqua stagnante, ben lontana dai limiti di acquaticità stabiliti dall’Unione Europea, per poi spostarsi nei locali sulla spiaggia a caccia di facili prede; un weekend a Brighton, oltre a quello descritto in precedenza, significa scazzottate con la gente del luogo, ossessionata non solo dai tifosi, ma anche dai one day trippers (visitatori in giornata); e significa cori della durata di novanta minuti, in cui si fa riferimento esclusivamente ai presunti gusti sessuali dei locali ( “We can see you holding hands”, “Does your boyfriend know you are here”, “Stand up, cause you can’t sit down).
Southampton, come la sua sorella Portsmouth, non rappresenta nulla di tutto questo: a Soton non c’è spazio per i piaceri notturni di Blackpool o i gusti libertini di Brighton; qui, nella città che nell’Ottocento fu definita l’ingresso per l’Europa, la gente è laboriosa ed attaccata ai valori tradizionali dell’Inghilterra, facendo il paio con Sunderland, situata 317 miglia più a nord. Ed è questo che rende grande l’Inghilterra, rispetto a molti altri paesi europei, Italia in primis: da nord a sud, da est ad ovest, la gente lavora e produce non tanto per il proprio bene personale, ma per il bene della comunità, per il bene della Nazione, con la N volutamente maiuscola perché lo stato non è visto come un nemico, bensì come un totem al quale guardare e dal quale prendere ispirazione. E Southampton ha da sempre dimostrato questo fortissimo attaccamento alla nazione, ed a tutto ciò che essa rappresenta: la città è stata il principale punto di partenza per i soldati di Sua Maestà nella Prima Guerra Mondiale, e nitide sono le immagine dei Sotonians che distribuiscono fiori ed auguri a persone loro sconosciute, ma in procinto di andare a difendere l’Inghilterra all’estero; durante i blitz tedeschi, Southampton in quanto luogo strategico fu completamente rasa al suolo, ma i suoi cittadini non abbassarono mai la testa, in quanto abituati alle sofferenze ed ai sacrifici necessari per garantire all’Inghilterra il ruolo di regina del mondo, e provarono sicuramente moti di orgoglio nel vedere gli Stukas abbattuti dagli Spitfire, nati proprio qui a Southampton. E negli anni dello sfacelo post-vittoria, quando a Liverpool l’incesto era cosa comune, a Manchester imperversavano le gang, a Birmingham scoppiavano disordini un giorno sì ed un giorno no tra cittadini inglesi ed immigrati, a Southampton non si sentiva nulla di tutto ciò, perché la gente era proiettata a salvare l’immagine dell’Inghilterra nel mondo, immagine che stava andando perdendosi. E venendo ai giorni nostri, per citare fatti meno coraggiosi ma altrettanto encomiabili, Southampton registra un numero di richiedenti sussidi inferiore alla media nazionale, segno che la gente qui vuole cavarsela per conto proprio, senza attentare alle casse dello stato: e questo nonostante il porto, che nel corso dei secoli, oltre ad aver visto salpare il Titanic e la Mayflower con i Padri Pellgrini ha visto l’arrivo nel 1348 della Peste Nera, abbia ridimensionato i propri effettivi, e nonostante la percentuale elevatissima di polacchi in città, circa ventimila, che hanno appreso che il lavoro è cosa seria in Inghilterra.
Unitamente a ciò, Southampton è riuscita nel corso degli anni a diversificare la propria offerta, ed ad oggi conta oltre quarantamila studenti in città, un quinto dell’intera popolazione, la percentuale più alta di studenti di tutta l’Inghilterra: ennesimo segno che la città si rende conto delle esigenze della nazione, e diligentemente offre ciò che la nazione richiede. Un senso di orgoglio tramite il quale Southampton celebra non solo la propria appartenenza all’Inghilterra, ma anche la sua storia personale: e così, dopo un sondaggio a cui hanno partecipato migliaia di persone, a tre celebrità nate e cresciute qui, che hanno contribuito a diffondere il nome della città nel mondo, sono state intitolate tre statue. Parliamo del tuffatore Pete Waterfield, della scrittrice Jane Austen, e di un certo Matt Le Tissier: persone che, pur abitando in epoche diverse tra loro, si sono fregiati dei valori trasmessi dalla città per diventare grandi, portando comunque sempre con sé l’amore per la propria città; e non è un caso che Matt Le Tissier abbia deciso di giocare solo e soltanto per un’unica squadra: pur non avendo la passione che si respira ad Anfield, o al St James’ Park, Southampton è in grado di trasmettere silenziosamente valori che fanno breccia nel cuore delle persone. Mentre i sentimenti a Liverpool e Newcastle escono molto più facilmente e rumorosamente (ma sono anche più estemporanei), qui nel sud bisogna dimostrare di meritarseli, ma una volta riusciti nell’impresa tutti dimostrano il proprio affetto in ogni maniera possibile, e per chi si fa coinvolgere risulta poi impossibile abbandonare una città che offre così tanto da questo punto di vista. Southampton è quindi la perfetta metafora dell’Inghilterra: silenziosa, laboriosa, attaccata ai suoi valori, talvolta burbera ma in grado, come un qualsiasi riottoso zio a Natale, di aprire per pochi istanti il proprio cuore, trascinandoti così in un vortice di emozioni da cui difficilmente si può uscire indifferenti.
Lasciamoci pertanto cullare dalle emozioni, godendoci la partita sotto la magia dei riflettori: e non preoccupiamoci, almeno per due ore, di ciò che accadrà all’esterno del St Mary’s, perché tanto ci penserà uno Spitfire a prendersi cura di noi..
Come on you Irons!

Nik

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