…il viaggio di Paride

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Sono passati alcuni giorni da questo match, ma la passione non ha tempo.

Non lo potevo accettare. Il Boleyn sarebbe stato abbattuto? Non avrei mai potuto perdonarmi il fatto di non esserci mai stato. Fin dall’inizio della stagione calcistica sapevo che approdare ad Upton Park sarebbe diventato quasi un obbligo, un dovere, un’ossessione! Dopo qualche tempo di riflessione, acquistai il biglietto per il 29-11-2015, data della partita valida per la 14a giornata di Premier League. Dal momento in cui arrivò tramite posta la lettera contenente il biglietto d’entrata al Boleyn Ground per il match che ha visto il West Ham impegnato contro il West Bromwich Albion, nulla riuscì a distogliere il mio pensiero da quel giorno. Cosa poteva accadere di meglio? Una volta sceso dall’aereo, la famigerata atmosfera tipica delle terre del Regno Unito, ne ero certo, mi avrebbe accolto di dovere: per la prima volta avrei messo piede nella terra tanto sognata, quella dove il football è ancora in grado di dare emozioni quasi “retrò”, e ti riporta a sfide leggendarie del passato. The United Kingdom non tradì le aspettative: un’aria inarrestabile ed un po’ arrogante non esitò a farmi ricordare dove ero finito, lì dove ancora, a volte, comanda la natura. Arrivato a Londra tramite navetta, sbrigai rapidamente le pratiche di una sommaria visita del centro della città, in un tempo che bastava per coglierne l’atmosfera, ma non per causarmi un ritardo nell’arrivare in zona Upton Park per sostenere gli Irons. Sono certo che i lettori di questo racconto, non vorranno sentire affermazioni scontate, banali e già conosciute riguardanti la gloriosa capitale britannica, perciò mi limiterò ad affermare che Londra è capace di regalare emozioni anche esterne all’ambito calcistico, seppur limitate rispetto a quest’ultime, secondo il parere personale da “calciofilo” allo stato puro. Una volta sceso nella celeberrima metropolitana della cittadina, aver atteso una ventina di minuti per avere un biglietto, ed essermi orientato in qualche maniera di cui già mi sono dimenticato, iniziò il mio piccolo, ma reale viaggio, verso il vero obbiettivo della mia presenza in Londra. Fermata dopo fermata, il treno iniziava più ad assomigliare ad una vera e propria trasferta di tifosi Hammers, più che ad un trasporto pubblico. Del resto, la zona in cui è situato il biliardino dei Claret and Blue, è veramente, senza scusanti brutta, e non ci sono ragioni per andarci se non per la Premier League. Semplicemente brutta, nessun altro aggettivo potrebbe essere migliore di questo. Forse malfamata, forse in preda alla decadenza, sicuramente piena zeppa di gente non con sangue reale inglese. L’atmosfera caratteristica però non si assenta nemmeno qui, ed è in questa zona che finalmente posso respirare una vera e propria aria di football, ma dare anche per lontanamente bello il quartiere di Newham sarebbe una follia; del resto, a chi importa? Dopo aver sommariamente capito l’ordine dei gates dello stadio ed aver trovato la zona di ingresso esatta, timbro il biglietto, e da quel momento solo 5 rampe di scale mi separano dal secondo anello della Betway Stand.

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Buttati nello stomaco un caffè lungo ed un cheeseburger, raggiungo il mio posto WU5-K-112. Uno spettacolo. Lo stadio è quasi vuoto, sugli spalti ci sono meno persone che nelle interiora del Boleyn, chi nei bagni, chi al bar. Il verde del campo si oppone al rosso violaceo degli spalti, e la bandiera del West Ham United Football Club sventola orgogliosa della sua storia, in cima alla Bobby Moore Stand ed alla Sir Trevor Brooking Stand, sbattuta da un vento che durerà per il resto dell’incontro.

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Pian piano lo stadio si riempie, afferro qualche frase qua e là e capisco che veramente nessuno, da queste parti, ha voglia di parlare di argomenti diversi dal calcio dal momento in cui si entra allo stadio: è come se ai tornelli, la gente cambiasse pelle, e nascondesse qualsiasi cosa della loro vita privata. Una decina di minuti dopo il mio arrivo, ecco arrivare anche quello che in quel giorno sarebbe stadio il mio vicino di posto nello stadio: un signore di circa settant’anni, imbacuccato nel suo giubbetto nero e sotto il suo cappello del West Ham, e con un sorriso stampato in faccia, di quelli che ti restano in mente per molto tempo. Si sarebbe poi presentato come Dave. Mi guarda, e mantenendo il sorriso di prima, mi chiede se ero certo di aver preso il giusto posto senza essermi sbagliato. Scopro dunque di essere nella zona che solitamente è riservata ai possessori di un abbonamento stagionale, e che il “proprietario” di quel posto si è assentato per quella partita liberandolo online. Conversando con Mr. Dave a riguardo dell’utilità di Andy Carrol, e dell’assenza di Payet e di Noble, rifletto su ciò che poco prima era successo: come può un tifoso medio inglese, accettare un cambiamento epocale come il cambio di uno stadio come il Boleyn Ground, se si trova leggermente spaesato anche solo per l’assenza del suo vicino di posto abituale? Questo pensiero mi lasciò un po’ di malinconia per qualche sprazzo di partita, e per gran parte del viaggio di ritorno. Lo stadio si riempie, ed i cori iniziano puntualmente. I’m forever blowing bubbles caratterizza per due volte nel pre-gara l’atmosfera dello stadio, ed a nessuno dei presenti importa qual è l’avversario al quale il West Ham si sta sottoponendo, tutti cantano ad alta voce, ma senza urlare, orgogliosi dei propri colori, ma discreti come di consuetudine britannica (almeno in certi casi). Vedere Ogbonna, Obiang e Zarate (o Zaràte, come lo chiamano a Londra) mi riporta per un attimo in Italia, ed al momento del gol degli Irons su punizione dell’argentino, ex Lazio ed Inter tra le altre, l’entusiasmo e l’incredulità mi investono come un fiume in piena. Il fato vuole, che a condire l’atmosfera fantastica del match, arrivi un gol di Rickie Lambert su un tiro deviato decisivamente dal capitano degli Hammers Reid. Ai più bramosi tifosi del West Ham questo gol brucerà parecchio, ma io mi accontento di cantare e tifare per tutti i 95’ di gara. A fine gara, l’80% del pubblico fugge per le uscite, in una corsa a chi riesce a liberarsi più velocemente per il rientro a casa, e tutti tolgono almeno parzialmente quella pelle che all’interno di Upton Park, li aveva fatti diventare dei database sul calcio. Qualcuno come me, preferisce attendere una decina di minuti prima di salutare la piccola gemma dell’Est di Londra, da cui tanta storia del calcio è passata, per poi congedarsi con tanto dispiacere per quello che inesorabilmente accadrà. Lungo la Green Street, piena zeppa di tifosi, l’atmosfera è ancora indimenticabile, ed il vento sembra quasi aver aumentato la sua intensità, quasi a voler rendere ancora più caratteristici quei miei momenti vicino allo stadio. Decido di non salire in metro ad Upton Park, ma a Plaistow, ad un quarto d’ora di camminata. Che esperienza, penso durante quei minuti, quando mai potrò rivivere un’emozione del genere? Lascio il Boleyn Ground per sempre, e temporaneamente l’Inghilterra. Il viaggio di ritorno in Italia sarà relativo: il mio cuore, ora, resterà per sempre là. I’m forever blowing bubbles.

Paride Paride

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Grazie Paride, il tuo racconto sa di passione vera, e sicuramente coinvolgerà molti Hammers.

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